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La voce di Hind Rajab

Pubblicato il 25 Settembre 2025

La chiamata di soccorso arriva lacerata, un filo sottile che collega la spietata realtà di Gaza alla fragile speranza di chi ascolta. È l’incipit di La voce di Hind Rajab, di Kaouther Ben Hania, un film che non si limita a raccontare una storia, ma che la costruisce, la disfa e la ricompone con una maestria tecnica e una sensibilità narrativa che lasciano il segno. Non è un film facile, non è un film consolatorio. È un film che scuote, che mette a nudo la complessità del conflitto, la fragilità dell’umanità e la potenza, paradossale, del silenzio.

La regia di Ben Hania è un vero tour de force. La scelta di strutturare il film quasi interamente attorno alle conversazioni telefoniche, con l’aggiunta di sporadiche sequenze che mostrano i soccorritori al lavoro, crea una tensione palpabile che si mantiene costantemente alta. Questo non è un semplice film di “trovata registica”, ma una scelta stilistica profondamente consapevole, che richiama alla mente le opere di Robert Bresson, con la sua ossessione per l’essenzialità, e la semplicità quasi ascetica, capace di amplificare il peso emotivo di ogni singolo dettaglio. Pensiamo, ad esempio, all’efficacia delle inquadrature su volti stanchi, sofferenti, che riflettono la fatica morale e fisica dei volontari. Ogni sguardo, ogni silenzio, diventa un tassello fondamentale del racconto. Ci si ricorda, a tratti, di quelle opere teatrali radiofoniche sperimentali della BBC, con lo spettatore chiamato a costruire mentalmente le scene sulla base del solo impatto sonoro. Qui, la regia di Ben Hania alza la posta in gioco. Non si tratta solo di immaginare l’ambiente, ma di provare a percepire l’intensità del dramma.

La scelta di utilizzare attori non professionisti per interpretare i volontari della Mezzaluna Rossa aggiunge un ulteriore strato di realismo. La loro recitazione, lontana dalla perfezione artificiale del cinema hollywoodiano, possiede una forza e un’autenticità disarmanti. È come se la cinepresa avesse catturato un frammento di realtà cruda, senza filtri né edulcorazioni. Quest’approccio, che ricorda la poetica del Neorealismo italiano, ma anche alcune sperimentazioni del cinema Dogma 95, conferisce al film un’autenticità sconcertante. La spontaneità dei loro gesti, le micro-espressioni sul loro volto, i silenzi imbarazzati o carichi di speranza, sono la perfetta controparte all’angoscia amplificata della bambina, la cui voce è l’unico suono a cui possiamo aggrapparci.

La bambina, Hind Rajab, diventa il fulcro del dramma, la personificazione dell’innocenza intrappolata nella violenza. L’attrice bambina, Saja Kilani, offre una performance straordinaria, carica di una maturità emotiva che va ben oltre la sua giovane età. La sua voce, tremante, fragile, ma determinata, è l’elemento centrale di questo dramma. È una voce che attraversa i confini, che trascende la geografia politica, e ci ricorda che al di là di ogni ideologia, di ogni conflitto, esiste un’umanità comune che va protetta. Si può tracciare un parallelo con le storie di coraggio e disperazione narrate da altri autori che hanno esplorato i temi della guerra e dell’infanzia, come, ad esempio, il Soldato Ryan di Spielberg, ma con una sensibilità ben più cruda e realistica, senza la mediazione di effetti speciali o di un’epica hollywoodiana che spesso finisce per addomesticare la tragedia. Qui la disperazione è nuda e cruda, senza filtri, come se la cinepresa fosse piazzata nel bel mezzo di un campo minato.

Ma La voce di Hind Rajab non è solo un racconto di sofferenza. È anche un’indagine sulla natura della solidarietà umana, sull’impatto emotivo di chi si trova a testimoniare la violenza da lontano, attraverso un filo telefonico. I volontari, ciascuno con la propria storia e le proprie fragilità, diventano l’immagine di una umanità che cerca di resistere, di mantenere la speranza, di fare la differenza in un mondo che sembra irrimediabilmente diviso. Possiamo vedere, tra le linee del film, un’eco del pensiero di Hannah Arendt, con la sua analisi dell’azione umana, e della responsabilità individuale in circostanze estreme. La loro reazione è un costante tentativo di bilanciare l’orrore con la compassione, mostrando una moralità che non è imposta dall’alto, ma che scaturisce spontaneamente da un profondo sentimento di empatia.

La scelta del regista di non mostrare mai direttamente la scena dell’assedio, di mantenere l’azione al di là della portata della nostra vista, contribuisce a rendere la tensione ancora più forte. L’immaginazione dello spettatore è costretta a lavorare, a riempire i vuoti lasciati dalla regia, creando un’esperienza immersiva e viscerale. Si può tracciare un paragone con Il Buio oltre la Siepe, dove l’orrore della segregazione razziale è suggerito più che mostrato, lasciando spazio alla riflessione e all’immedesimazione con i personaggi. La potenza del film sta proprio in questa capacità di evocare l’orrore senza mostrarlo esplicitamente, usando la potenza suggestiva delle parole, dei silenzi, delle emozioni dei protagonisti.

Il film, seppur potente nel suo impatto emotivo, non è privo di alcune debolezze. La struttura quasi esclusivamente dialogica, seppur audace e originale, potrebbe risultare per alcuni spettatori eccessivamente statica e frustrante. La mancanza di una più ampia contestualizzazione del conflitto di Gaza, seppur comprensibile data la focalizzazione sulla vicenda umana, potrebbe lasciare spazio ad interpretazioni semplicistiche da parte di chi non è pienamente a conoscenza del contesto geopolitico. Tuttavia, queste critiche non intaccano la validità e l’originalità di un film che, con coraggio e maestria, affronta temi di grande complessità con una sensibilità e una poeticità davvero rare.

La voce di Hind Rajab è una voce che ci ricorda che la guerra non è solo un insieme di dati, di numeri, di strategie militari, ma è soprattutto una realtà umana, fatta di sofferenza, di paura, ma anche di speranza, di solidarietà, di resistenza. Un film che è un invito, forse più un’imposizione, a non dimenticare, ad ascoltare, a sentire l’eco silenziosa, ma potente, di quelle voci che spesso vengono soffocate dal rumore del conflitto. Un film da non perdere per chi ama il cinema coraggioso, audace e profondamente umano. Un film da apprezzare per la sua originalità, per la sua capacità di coinvolgere emotivamente lo spettatore e di costringerlo a una riflessione profonda sulle responsabilità dell’umanità. Un’opera che si fa ricordo vivido e doloroso, anche dopo i titoli di coda. Un film che ci obbliga a ricordare il peso di ogni silenzio, la potenza di ogni parola, l’intensità di ogni sguardo. Un’opera che, con i suoi mezzi espressivi così originali, riesce a realizzare l’impossibile: farci sentire l’eco della voce di Hind Rajab, anche al di là del rumore della guerra.

Scheda Film

Voto: 8.8/10

Regista: Kaouther Ben Hania

Cast: Saja Kilani, Motaz Malhees, Clara Khoury, Amer Hlehel

Sceneggiatura: Kaouther Ben Hania

Data di uscita: 25 Set 2025

Titolo originale: صوت هند رجب

Paese di produzione: France

Vedi la scheda completa su IMDb →

Scritto da Marco Belemmi

Sono un essere senziente. Mi occupo di varia umanità dall'età di circa due anni. Sono giunto al mezzo secolo di esperienza vissuta su questo Pianeta. Laureato in Lettere Moderne con una tesi sulla Poetica dell'ultimo Caproni nel 1996. Interessato al cinema dall'età di tre anni e mezzo dopo una sofferta visione dei Tre Caballeros della Disney, opera discussa e aspramente criticata in presenza delle maestre d'asilo. Alla perenne ricerca di un nuovo Buster Keaton che possa riportare luce nelle tenebre e sale nei popcorn.

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