Nella cornice sontuosa e spesso paludata della Mostra del Cinema di Venezia 2025, tra le opere d’autore che puntano a scandagliare le profondità dell’animo umano e i drammi esistenziali, ogni tanto spunta un film che, come un fulmine a ciel sereno, arriva a sparigliare le carte. Quest’anno, a fare da guastafeste in un panorama inevitabilmente serioso e a volte un po’ faticoso, ci ha pensato Potsy Ponciroli con il suo Motor City, presentato nella sezione Venezia Spotlight. E, credetemi, è stata una ventata di aria frasca – o meglio, una sferragliata di lamiera e testosteronica furia – che ha costretto gli spettatori a ricalibrare il concetto stesso di cinema.
Dimenticate i dialoghi cerebrali, le introspezioni psicologiche e le sottigliezze narrative. Motor City è un’operazione tanto mainstream quanto teorica, un’esplosione di cinema sfacciatamente muscolare che rinuncia quasi del tutto alla parola per cavalcare a ritmo di musica una serie di cliché del noir e del genere poliziesco che si autoalimentano narrativamente fino a deflagrare. È una pellicola che, dopo il western crepuscolare Old Henry (presentato a Venezia 2021 e già allora un inaspettato gioiello di genere), conferma Ponciroli come un regista da tenere d’occhio, un artigiano che non ha paura di sporcarsi le mani con i generi, cercando declinazioni magari non nuove ma quantomeno inusuali e, soprattutto, irresistibilmente coatti.
Detroit Anni ’70: Il Palcoscenico di una Vendetta Senza Tregua
La storia ci catapulta nella Detroit degli anni Settanta, una città iconica, già di per sé un personaggio, un paesaggio post-industriale di cemento e ruggine che pulsa al ritmo del funk e del soul. Qui, in questo crogiolo di sogni infranti e di strade violente, si consuma la tragedia di John Miller (interpretato da un Alan Ritchson dalla stazza imponente e dalla presenza scenica brutale). Il suo errore? Innamorarsi della bella Sophia (una sorprendente Shailene Woodley), la ragazza di Reynolds (un Ben Foster che si conferma maestro dei ruoli borderline), un gangster locale spietato e meschino. È un cliché, certo, la donna proibita, l’amore fatale che innesca la spirale di violenza, ma Ponciroli lo maneggia con una tale sfrontatezza da renderlo quasi nuovo.
Ovviamente, Miller pagherà cara la sua audacia. Reynolds lo incastra, con un trucco che il film non si perde in spiegazioni superflue, facendolo finire in prigione. La sua vita è rovinata, Sophia è tornata sui suoi passi – o forse non li ha mai veramente abbandonati – e Miller non dimentica. Anzi, pianifica la sua vendetta, metodicamente, con una freddezza che si trasforma in furore. Ed è qui che il film prende il volo, trasformandosi in una cavalcata di violenza stilizzata, un ballettato macabro di piombo e acciaio, dove ogni pugno, ogni sparo, ogni inseguimento è cadenzato da una colonna sonora onnipresente e irresistibile.
Muscoli, Silenzi e Playlist Indimenticabili
La caratteristica più eclatante di Motor City è la sua quasi totale assenza di dialoghi. Tre battute in centotré minuti? È un azzardo, una provocazione, ma che funziona incredibilmente bene. Ponciroli dimostra che il cinema, prima ancora che parola, è immagine, movimento, suono. Il racconto si sviluppa attraverso le espressioni dei volti, la fisicità degli attori, la coreografia delle scene d’azione e, soprattutto, una playlist alquanto orecchiabile e indubbiamente efficace. È un linguaggio universale, un richiamo al cinema muto ma filtrato attraverso l’estetica del videoclip, dove la musica diventa la vera voce dei personaggi, il commento emotivo che sostituisce la spiegazione verbale.
In questo, Motor City può essere accostato a Silent Night – Il silenzio della vendetta di John Woo, anch’esso un esperimento sulla rinuncia ai dialoghi. Ma se Woo necessitava di un espediente narrativo (il voto di silenzio del protagonista) per giustificare questa scelta, Ponciroli non ne ha bisogno. La sua è una dichiarazione d’intenti, un’affermazione di fiducia nella capacità del cinema di comunicare senza mediazioni linguistiche. La narrazione è affidata ai corpi, ai gesti, agli sguardi che si incrociano in un balletto di minacce e desideri.
Un Cast Sghembo e Volutamente Sopra le Righe
Il cast è un altro elemento chiave di questa operazione audace. Scelte volutamente sopra le righe, quasi caricaturali, che trasformano i personaggi in archetipi, in cliché così marcati da diventare iconici, da cult istantaneo. Alan Ritchson, con la sua stazza fisica imponente – un Hulk che si confronta con il “nano da giardino” di Ben Foster, come acutamente osservato – è perfetto nel ruolo del giustiziere solitario. La sua fisicità debordante anticipa i confini spettacolari e brutali di questa testosteronica vendetta. È un corpo che parla, che minaccia, che incute timore.
Ma a rubare la scena, a illuminare lo schermo con una presenza quasi schizofrenica, è Shailene Woodley. Qui alle prese con un ruolo che la vede vestire e svestire i panni di una femme fatale dei quartieri bassi, in cerca di una romantica redenzione che è al tempo stesso un miraggio e una condanna. La sua Sophia non è una vittima passiva, ma una figura ambigua, seducente e pericolosa, capace di innescare e disinnescare la violenza con la stessa facilità. La sua performance è un’esplorazione dei chiaroscuri della femminilità in un mondo dominato dalla brutalità maschile.
Menzione d’onore anche per Amar Chadha-Patel, caratterista dalla notevole presenza scenica, che purtroppo, a causa della focalizzazione sui personaggi principali, si trova con una scrittura un po’ tirata via, ma che comunque lascia il segno.
Detroit: Il Personaggio Principale, il Teatro di Guerra, il Paesaggio Emotivo
Ma il vero personaggio, il teatro di guerra, il paesaggio emotivo di Motor City, è la stessa Detroit. Ponciroli la dipinge come un’entità viva, con le sue strade che si prestano generosamente a sparatorie e inseguimenti mozzafiato. L’ultimo di questi, in particolare, è una sequenza che costringe lo spettatore a ricalibrare il concetto di videoludico, tanto è immersiva e adrenalinica. Non è la Detroit patinata dei documentari o delle serie TV, ma una città autentica, pulsante, sporca, perfetta per ospitare questa epopea di vendetta e redenzione. È una città che non si limita a fare da sfondo, ma che partecipa attivamente all’azione, con le sue architetture fatiscenti e i suoi scorci industriali che diventano elementi scenografici di un dramma urbano.
Cinema Ipertrofico con un Cervello Pulsante
Motor City è prevedibilissimo? Assolutamente sì. Pompatissimo? Senza dubbio. Traboccante ironia (basterebbe il confronto tra Ritchson e Foster)? Al limite del grottesco. Indubbiamente imperfetto? Probabile. Ma se si sta al gioco, è un divertissement che pompa all’inverosimile i muscoli senza però spegnere il cervello. Ponciroli non è un ingenuo. Con questo film, ci pone di fronte al senso contemporaneo delle immagini, della narrazione, della percezione e dell’attenzione spettatoriale. È un cinema ipertrofico che cerca consapevolmente una possibile mediazione tra il grande schermo e quel grande pubblico che via via è sempre più assuefatto alle cadenze netflixiane se non a quelle imposte dai video di Instagram, Facebook, TikTok.
Come nel precedente Old Henry, la necessaria base di partenza creativa e produttiva è una piena conoscenza del genere, accompagnata da una buona dose di materia grigia. Ponciroli non si limita a replicare, ma a rielaborare, a destrutturare e ricostruire, infondendo nuova linfa in archetipi che sembravano ormai consunti. Motor City è un inno alla potenza viscerale del cinema, un’affermazione della capacità di un regista di comunicare direttamente con le viscere dello spettatore, senza bisogno di troppe parole. È un’esperienza catartica, un pugno nello stomaco e un’iniezione di adrenalina. A questo punto, con rinnovata curiosità, non ci resta che aspettare il prossimo film di Potsy Ponciroli. È evidente che non sarà mai banale.
Scheda Film
Voto:
Regista: Potsy Ponciroli
Cast: Shailene Woodley, Alan Ritchson, Ben Foster, Amar Chadha-Patel, Ben McKenzie
Sceneggiatura: Chad St. John
Data di uscita: 30 Ago 2025
Titolo originale: Motor City
Paese di produzione: United States of America
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