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La Parola ai Giurati

Nel 1954 Reginald Rose scrisse una sceneggiatura a dir poco intrigante: 12 giurati popolari riuniti in camera di consiglio mentre danno vita ad un’aspra battaglia dialettica con la vita di un uomo che dipende dall’esito di questa contrapposizione dialogica. Lo script fu adattato per uno sceneggiato televisivo realizzato e diretto da Schaffner lo stesso anno. L’opera passò quasi sotto silenzio e non ricevette alcuna recensione critica, però impressionò positivamente Sidney Lumet, un regista televisivo emergente che da tempo desiderava spiccare il salto decisivo verso il Grande Schermo. La storia di Rose gli piacque a tal punto che decise di ricavarci un film ad ogni costo, il suo primo film. Il problema principale di Lumet fu quello di reperire il budget necessario per mettere in piedi l’operazione. La ricerca di un produttore durò 3 anni e quando tutto sembrava vano venne in suo soccorso colui che sarebbe poi diventato anche il protagonista del film: Henry Fonda. All’epoca 52enne Fonda era già attore affermatissimo dal nobilissimo pedigree, potendo vantare collaborazioni con registi del calibro di John Ford, William Wyler, Edmund Goulding e Fritz Lang. Fonda dopo aver letto il copione di Rose si disse entusiasta del progetto e vi si gettò a capofitto finanziandolo e prestandovi il suo talento di attore.

Il progetto si materializzò in pochissimo tempo e venne interamente realizzato in poco meno di un mese. Il titolo scelto fu “12 angry men”, 12 uomini arrabbiati, un titolo dalla forte incidenza evocativa, in seguito, come spesso accade, svilito dalla distribuzione italiana che lo trasformò banalmente in “La parola ai giurati”. L’opera tenne fede, come primo essenziale parametro ermeneutico, al concept teatrale che sorreggeva l’impalcatura testuale. Per fare questo era vitale che le 3 unità aristoteliche fossero rispettate: unità di azione, di luogo e di tempo. Era un’operazione rischiosa, e in qualche modo nuova, per il cinema. Ma Lumet intuì che proprio nella semantica teatrale si celava il fascino e la salvezza di questo progetto. E cosi fu. L’azione si svolge in linea retta senza interruzioni o salti temporali e la cinepresa segue fedelmente il dibattito post-processuale che si sviluppa tra i 12 protagonisti. Il luogo è claustrofobicamente fisso e immutabile: un’angusta aula con un tavolo al suo centro e 12 sedie ai suoi lati. Il tempo è scandito fedelmente dall’evolversi del dibattito e dagli eventi che si succedono: il confronto dialettico, le votazioni, le ricostruzioni probatorie e i monologhi esplicativi.

La trama è semplice e lineare, ma al contempo geniale nel suo graduale emergere dal dibattimento. Dodici uomini, componenti di una giuria popolare, hanno appena terminato di seguire il processo e si ritrovano in camera di consiglio per prendere una decisione. Sono chiamati a giudicare un diciottenne latinoamericano accusato di aver ucciso il padre adottivo con un pugnale a serramanico. Quando gli uomini si siedono al tavolo appare scontato l’esito del dibattito. Ma un giurato, il numero 8, afferma che vi è un ragionevole dubbio che il ragazzo sia innocente. Comincia così il dibattito sui punti cardine del processo: l’arma del delitto, l’alibi e i due testimoni. L’arma del delitto è stata ritrovata sul cadavere dell’uomo ed è stata acquistata dal ragazzo in un negozio del quartiere, sebbene l’accusato affermi di averla persa. L’alibi appare molto debole, in quanto il ragazzo afferma di essere stato al cinema nel momento del delitto, ma non ricorda, al momento dell’interrogatorio, nè il titolo nè gli interpreti. Inoltre due testimoni inchiodano il giovane: un anziano vicino di casa e una donna che asserisce di aver visto il ragazzo allontanarsi dal corpo dell’uomo. I due testimoni verranno poi demoliti in due distinti monologhi dal giurato nr. 8, per mezzo di un eloquio facondo e di una logica stringente. Gradualmente i giurati sposano la tesi della non colpevolezza, abbandonando pregiudizi e prese di posizione aprioristiche. Ma ne rimane uno che appare irriducibile e che tenterà fino all’ultimo istante di sottomettere al suo volere gli elementi più deboli del fronte avversario. Un film di una bellezza primordiale, brillante sinestesia di teatralità cinematografica e impegno civile.

Titolo originale: 12 Angry Men

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  • Concordo con ogni sillaba pronunciata. Aggiungo soltanto - splendidi attori - tutti quanti che dipingono alla perfezione alcuni caratteri emblematici di ogni tempo e luogo. Henry Fonda poi che somma in sé l'apparente mitezza dell' "uomo qualunque" e il suo riscatto insieme; la placidità dell'uomo medio unita alla potenza di un mare in tempesta tanto è risoluto e intenso nell'affermazione di un principio universale che è poi il suo ideale "agostiniano" forse: bisogna sempre - distinguere ciò che si conosce da ciò che si crede -

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